Per qualsiasi bambino, essere inserito in un ambiente nuovo richiede un certo sforzo adattivo e per aiutarlo in tale compito, la presenza, almeno in fase iniziale, di una figura famigliare, può facilitare la cose.
Il contesto “scuola”, richiede diverse fatiche psicologiche per un bambino:
– separarsi dalle figure primarie di attaccamento,
– adattarsi ad un contesto e persone nuove,
– e gli richiede anche di dover fare i conti con la capacità di saper condividere spazi e attenzione con altri bambini (con tanti altri bambini!) e di gestire la frustrazione.
Un tempo, condividere spazi, tempi e attenzione con altri era una condizione naturale: le famiglie erano numerose e i bambini giocavano per strada con gli altri, spesso dovevano fare i conti con esperienze anche dure. Oggi i bambini sono spesso figli unici, qualche volta hanno un fratello o due, raramente più di due.
Sono abituati ad avere un’attenzione quasi esclusiva da parte dell’adulto e a possedere tante cose/giochi che vanno condivise solo nei rari momenti in cui qualche amichetto viene a trovarli, ma rimane sempre chiaro che “i giochi restano i miei”.
C’è un altro aspetto fondamentale: i bambini oggi hanno poca capacità di gestire la frustrazione. Spesso ciò che chiedono gli viene concesso subito, non devono aspettare né faticare molto per vedere soddisfatti certi bisogni e non hanno molto tempo per sperimentare la noia. A scuola, invece, devono fare i conti con il gestire la frustrazione dovuta a tutta una serie di nuove regole: aspettare il proprio turno, stare seduti, impegnarsi in certe attività strutturate, non sempre poter scegliere cosa fare.
Sia chiaro: i bambini devono imparare a fare i conti con lo stress e con la frustrazione (sperimentare frustrazione in una certa misura rinforza i bambini e non il contrario), ma questo non può essere fatto in maniera brusca: se qualcuno viene buttato in acqua può essere che per la paura impari a nuotare, ma può anche essere che per la paura anneghi e non ci è dato saperlo in anticipo.
Tuttavia la domanda che sicuramente molti genitori e insegnanti si pongono è: “C’è un modo per poter aiutare il bambino a vivere il distacco con più facilità?”
La risposta è sì, i genitori possono fare molto perché il momento dell’inserimento venga facilitato.
Vediamo alcuni suggerimenti che possono aiutare.
Cosa possono fare i genitori?
– Fidarsi. Innanzitutto è importante che il genitore riesca a fidarsi delle persone a cui affida il proprio figlio, perché i bambini avvertono se la propria mamma o il proprio papà sono “tranquilli” nel lasciarlo oppure no. L’inserimento ha anche questo obiettivo: che il genitore conosca l’ambiente in cui suo figlio vivrà una parte della giornata .
– Comprendere e rassicurare. Soprattutto con i bambini che vivono in modo particolarmente ansioso il distacco dai genitori, è importante non criticarli per il loro disagio, evitare ad esempio di sminuire ciò che provano (“ma dai che vuoi che sia, sei grande ormai!”), ma piuttosto farli sentire compresi con frasi del tipo “so che la mattina non vorresti lasciarmi, adesso ti senti triste, ma pian piano starai meglio e ti abituerai”.
– Continuare a mandare il bambino a scuola. È deleterio per il bambino toglierlo dalla situazione per lui nuova per poi riportarlo dopo qualche giorno, perché significa fargli rifare lo sforzo emotivo tutto da capo.
– Avere fiducia nelle capacità del bambino. Ripetersi dentro di sé che “ce la farà”. I bambini sentono quanto i genitori si fidano di loro, spesso si sentono capaci se i genitori credono che lo sono e al contrario si sentono deboli e incapaci se i genitori hanno dubbi sulle loro potenzialità.
Ricordiamo sempre che i bambini si percepiscono attraverso gli occhi del genitore “se mamma e papà pensano che ce la posso fare, allora ce la faccio!”.
Fidarsi, quindi, anche del bambino.
Buon cammino.
Dott.ssa Eleonora Lanno
Psicologa Psicoterapeuta